Lola Young aveva annunciato l’uscita del suo terzo album I’m only F**king Myself con questo post: “Sarà la mia ode all’autosabotaggio, la mia possibilità di riprendermi dall’orlo della sconfitta.”
Oggi che quell’album è uscito, dopo il successo planetario di Messy, il singolo pubblicato nel 2024, il più alto in classifica a livello globale dell’anno, non si parla di un album che conferma la crescita personale e musicale di un’artista diventata un simbolo per la GenZ, ma di… Amy Winehouse. A questo aveva già contribuito sicuramente il fatto che, mentre Messy scalava le classifiche, lei entrava in un centro di rehab per disintossicarsi dalla droga; che i testi delle sue canzoni parlano di dipendenze e fragilità; che la sua voce graffiante e soul richiama la cantante scomparsa nel 2011.
Ora però, il fatto che dietro di lei ci sia lo stesso manager che portò al successo Amy, ovvero Nick Shymansky, che al New York Times ha dichiarato: “Lola Young arriverà dove Amy Winehouse, purtroppo, non è riuscita ad arrivare”, ha reso il paragone anche un titolo dello stesso giornale: “Can Lola Young make it big without breaking?” ovvero “Può Lola Young diventare grande senza uscire di testa?”
I’m only F**king Myself contiene quattordici canzoni che esplorano temi come l’autodistruzione, il nichilismo e i vizi vissuti come una forma di evasione, e offre musicalmente un viaggio tra vari generi: dallo shoegaze (sottogenere musicale dell’alternative rock) al rap jazzato, fino al pop, con testi sfacciati che hanno già contraddistinto questa 24enne londinese.
Quella stessa Londra dei borough esterni da cui proveniva anche Amy Winehouse, di cui è tornato a parlare Mark Ronson che, a proposito del pluripremiato album Back to Black da lui prodotto, ha ricordato quando era stato messo in guardia contro una possibile collaborazione con lei, con amici e colleghi che gli dicevano: “Oh, stai lavorando con Amy? Buona fortuna. Lavora a questo album da tre anni.” Eppure, ha confessato Mark: “Quando siamo entrati in studio, lei è stata una vera bomba di ispirazione. Abbiamo registrato tre o quattro demo di canzoni, abbiamo scritto Back to Black, lei ha scritto Rehab e tanto altro in cinque giorni.”
Back to Black, considerato dalla critica musicale il più grande album del XXI secolo e uno dei più influenti della storia della musica, vincitore del Grammy nella categoria miglior album pop vocale, era trainato da successi come la title track, Tears Dry on Their Own, Love Is a Losing Game e quella Rehab, con quel “no no no” ribattuto nella canzone, che si riferisce al rifiuto di disintossicarsi dall’alcol. Una sorta di tormentone a livello mondiale, rispolverato ora per Lola Young che, a quella rehab, ha invece detto “sì sì sì.”